USUCAPIONE SPECIALE PER LA PICCOLA PROPRIETA’ RURALE

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                                                               Avv. Riccardo Martinoli

 

 

La legge n. 346 del 1976 ha introdotto una forma speciale di usucapione, disciplinata dall’art. 1159 bis c.c., rubricato: Usucapione speciale per la piccola proprietà rurale.

Ratio della disposizione

Con l’introduzione della norma citata, il legislatore persegue l’obiettivo di regolarizzare i titoli di proprietà agraria per tutti quei fondi ubicati in zone montane o svantaggiate, ove spesso le risultanze pubblicitarie (specialmente catastali) non corrispondevano alla situazione di fatto che interessava in concreto il fondo agricolo. A ciò si aggiunga, ai sensi degli artt. 42 e 44 della Costituzione, la prerogativa di consolidare l’estensione della piccola proprietà rurale per le aree montane, laddove, peraltro, la regolarizzazione delle intestazioni fondiarie facilita l’accesso al credito agrario per gli addetti al settore agricolo.

Presupposti

Ai sensi dell’art. 1159 bis c.c., il possessore di un fondo rustico con annessi fabbricati acquista la proprietà del cespite per usucapione, qualora il possesso pubblico, pacifico ed ininterrotto si sia protratto per almeno quindici anni (anziché i venti anni ordinariamente previsti ex art. 1159 c.c.). Affinché possa maturare l’usucapione speciale, la norma prevede la sussistenza di particolari presupposti, fermo restando gli altri elementi costitutivi della fattispecie di usucapione (in primis l’animus possidendi).

Secondo il disposto della norma citata (comma 1), la disciplina speciale si applica allorquando il fondo agrario (la cui rusticità deve emergere dall’iscrizione al Catasto terreni) sia ubicato in comuni classificati dalla legge come montani[1], ovvero (comma 4, introdotto dalla successiva legge n. 97 del 1994) ubicati in zone diverse – quindi anche non montane – purché detti fondi non abbiano un reddito superiore ai limiti fissati dalla legge speciale. Infatti, ex art. 2 legge n. 346 del 1976, affinché il possessore possa invocare l’usucapione speciale, i fondi agricoli esistenti in comuni non montani devono presentare un reddito dominicale non superiore a lire 350.000,00 (c.a. € 180,00).

Nell’individuare il bene suscettibile di essere usucapito nella forma speciale, la legge indica il fondo rustico con annessi fabbricati, dunque sulla base del dato normativo rientrerebbe in questa definizione solo il fondo “attrezzato” ove, accanto al bene terra, vi siano anche le strutture necessarie alla coltivazione o soddisfacimento dei bisogni del coltivatore (casa colonica, rimessa e deposito attrezzi e macchinari ecc. …). Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione, Sez. Un., 18.10.1993, n. 10301 secondo cui al fine dell’applicazione dell’art. 1159 bis c.c. il cespite usucapibile è il fondo inteso come porzione di suolo coltivato, laddove i fabbricati non si devono considerare parte necessaria, ma solo eventuale. Pertanto, anche un terreno privo di fabbricati è suscettibile di essere usucapito ai sensi dell’art. 1159 bis c.c. 

Sempre in questa ottica, la giurisprudenza più recente ha sottolineato che, al fine del perfezionamento dell’usucapione speciale, il fondo agricolo debba essere effettivamente destinato alla coltivazione da parte del possessore, con ciò non risultando sufficiente – ancorché necessario (cfr. Cass. 13.04.2010, n. 8778; Cass. 12.04.2019, n. 10350) – il mero dato formale della destinazione agricola del fondo. Allo stesso tempo, il bene deve presentare delle caratteristiche dimensionali tali da costituire un’unità agricola ben organizzata ed autonoma finalizzata a consentire un’ordinaria attività produttiva (cfr. Cass. 28.08.2017, n. 20451). Nel senso ora ricordato, la giurisprudenza ha escluso che porzioni di terreno troppo esigue possano essere suscettibili di usucapione speciale (es. piccole strisce di terra nei pressi di strade, limitate porzioni di un fondo più esteso). Per questi fondi o parti di essi resta salva la possibilità di essere usucapiti in via ordinaria.

Da quanto accennato deriva anche la necessità di un ulteriore presupposto soggettivo in capo al possessore, ovvero la qualità di coltivatore: qualifica che deve essere valutata in concreto sulla base della effettiva attività svolta sul fondo, non – anche in questo caso – da mere risultanze documentali.

Il secondo comma dell’art. 1159 bis c.c. (sulla falsariga dell’art. 1159 c.c.) disciplina un’ulteriore ipotesi di usucapione “abbreviata”: il termine ad usucapionem si riduce in anni cinque, allorquando il possessore di un fondo, che presenta i requisiti indicati dalla stessa disposizione, abbia acquistato lo stesso in buona fede e possa vantare un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà, debitamente trascritto. Il termine di cinque anni decorre dalla data di trascrizione del titolo.

Procedimento

Ai sensi del combinato disposto dall’art. 1159 bis c.c. e art. 3 legge n. 346 del 1976, al fine di vedersi riconosciuto proprietario per intervenuta usucapione speciale, il possessore coltivatore ha a disposizione un procedimento più snello rispetto al giudizio ordinario, caratterizzato da contraddittorio soltanto eventuale e particolarmente incentrato sul rispetto di particolari formalità pubblicitarie. La domanda andrà proposta nei confronti dei soggetti formalmente proprietari del fondo che si ritiene di aver usucapito, in base alle risultanze dei pubblici registri.

Il giudizio deve essere introdotto nelle forme del ricorso, che dovrà essere depositato presso la cancelleria del Tribunale territorialmente competente (ovvero l’Ufficio Giudiziario competente per territorio secondo l’ubicazione del fondo). Al ricorso dovranno essere allegati tutti i documenti necessari all’individuazione catastale del fondo ed alla propria destinazione agricola, oltre alle ulteriori prove riguardanti la qualità di coltivatore in capo al possessore e la concreta consistenza del fondo.

Il Giudice designato, letto il ricorso, dovrà emettere un apposito decreto attraverso il quale ordina l’espletamento delle formalità ex art. 3 legge 346 del 1976. In particolare, ricorso e decreto dovranno essere pubblicati presso l’albo del Comune in cui sono ubicati i fondi oggetto del procedimento, oltre che sull’albo del Tribunale competente[2] e dovranno restare pubblicati per un periodo non inferiore a 90 giorni. Inoltre, nel decreto deve essere indicato il termine di 90 giorni, decorrenti dalla pubblicazione o iscrizione di cui supra, entro i quali chiunque vi abbia interesse potrà proporre opposizione.

Ai sensi dell’art. 2 legge n. 346 del 1976, il ricorso e il decreto dovranno essere notificati a coloro che nei registri immobiliari risultino proprietari dei fondi rustici ed anche a chi, nei venti anni precedenti il deposito del ricorso, abbia trascritto contro il ricorrente o i propri aventi causa domande giudiziali che non siano perente e dirette a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di godimento sui fondi medesimi (all’uopo è opportuno già allegare al ricorso introduttivo i documenti relativi alle ispezioni ipotecarie).

In caso sia presentata rituale opposizione, il Tribunale dovrà decidere sulla domanda con sentenza.

Qualora non sia, invece, proposta opposizione: Il Tribunale, verificata la regolarità delle notifiche e delle pubblicazioni effettuate ed assunte le necessarie informazioni – anche previa fissazione di un’udienza per la comparizione del ricorrente e dai soggetti indicati quali testimoni o informatori – deciderà con decreto la domanda proposta ed in caso di accoglimento dovranno essere osservate le medesime formalità di pubblicità e di notifica già indicate per la fase introduttiva. Contro tale decreto, potrà essere proposta opposizione entro il termine di 60 giorni, decorrenti dalla pubblicazione o dalla notifica. Viceversa, in caso di decreto di rigetto (es. per carenza dei requisiti previsti dalla norma), il ricorrente può proporre reclamo entro 30 giorni dalla comunicazione, il Tribunale decide sul reclamo in Camera di Consiglio.

Decorso l’ulteriore termine di 60 giorni, il decreto di accoglimento è suscettibile di trascrizione nei registri immobiliari ai sensi dell’art. 2651 c.c. (norma riguardante la trascrivibilità delle sentenze che accertano la proprietà per intervenuta usucapione).

La suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. 25.07.2011, n. 16238, conf. Cass. ordinanza 23.10.2018, n. 26759) ha precisato che il decreto di accoglimento emesso dal Giudice nel procedimento ex art. 3 legge n. 346 del 1976 non è idoneo ad acquistare l’efficacia di giudicato tipica della sentenza, bensì costituisce soltanto una presunzione di appartenenza del bene a favore del beneficiario del provvedimento.

L’irreperibilità degli intestatari

Spesso accade che gli intestatari dei fondi agricoli che si pretende di aver usucapito siano irrintracciabili, o comunque già deceduti e, stante l’ubicazione dei terreni in questione (luoghi magari impervi ubicati in zone di montagna) oppure la trascurabilità del valore economico – patrimoniale  degli stessi, non siano mai state espletate le formalità inerenti ai passaggi di proprietà fra gli eredi. In questi casi la legge consente la possibilità di provvedere alle notifiche (di cui all’art. 2 legge n. 346 del 1946) c.d. per pubblici proclami ai sensi dell’art. 150 c.p.c.

Trattasi di un particolare procedimento di notificazione che presuppone l’autorizzazione del Presidente del Tribunale. Tale autorizzazione si ottiene con apposita istanza in cui devono essere indicati i motivi che rendono impossibile o comunque particolarmente difficoltosa la notifica per via ordinaria, correlati dai documenti necessari (es. estratto dell’atto di morte del formale intestatario risalente a molti decenni prima, ovvero l’indicazione della data di nascita dei formali intestatari risalente ad un periodo, pressocché incompatibile con la normale durata dell’esistenza umana).

Letta l’istanza e visionati i relativi documenti, il Presidente del Tribunale può autorizzare la notifica per pubblici proclami con decreto steso in calce al ricorso. Nel decreto vengono precisate le modalità opportune per provvedere a portare a conoscenza di tutti i soggetti indicati la domanda presentata. Il ricorrente dovrà provvedere, in ogni caso, a depositare copia dell’atto (ricorso; decreto del Giudice ove viene ordinato il compimento delle formalità; decreto di autorizzazione alla notifica per pubblici proclami) presso il Municipio del luogo in cui ha sede il Tribunale competente, mentre un estratto dell’atto dovrà essere inserito nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica

[1] Al fine di individuare i comuni e le zone classificate come montane, l’originario tenore normativo richiamava la legge n. 1102 del 1971 (nel richiamare la precedente legge n. 991 del 1952). Dopo l’abrogazione dell’art. 3 della citata legge, le norme di riferimento sono gli artt. 27 e 28, D. lgs. n. 267 del 2000 (c.d. Testo unico degli enti locali), ove la qualificazione di un comune come “montano” è demandata alla competenza delle Regioni.

[2] La norma prevedeva la pubblicazione per estratto anche sul Foglio degli annunzi legali della provincia. La necessità di tale formalità è venuta meno con la soppressione del Foglio in forza della legge n. 340 del 2000.

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